Le filature, i maglifici ed i terzisti, stanno facendo grandissimi sforzi per raggiungere un equilibrio tra prodotto industriale e sostenibilità.
Il cuore del sistema moda non lo fa il prodotto ma il creativo, il designer che sta dietro alla collezione.
“È nello stile che risiede la sostenibilità del prodotto.”


È lo stilista che determina le scelte fondamentali di filati, tecniche di tintura, trattamenti, tecniche di smacchinatura e confezione.
Attraverso lo stile, o l’assenza di esso, il prodotto rimane banale, oppure acquista un’anima e racconta una storia.
Questa realtà è nota a qualsiasi fotografo, responsabile della comunicazione o a qualsiasi social media manager: senza anima il prodotto è dozzinale, difficile da raccontare ed impossibile da vendere e da far uscire dai negozi.
Senza lo stile, un articolo da scaffale sarà uguale all’altro.
Colui che disegna mette in quello che fa un pezzettino della sua anima, ogni articolo della collezione racconterà quindi una storia, racconterà di una passione e comunicherà senza bisogno di artifici.
Quale è, quindi, uno stilista sostenibile?
Colui che saprà coniugare, attraverso i suoi disegni, le scelte etiche ma anche passionali dell’uomo contemporaneo.
La sostenibilità passa dalla scelta di filati e di tessuti, ma anche attraverso l’armonia dei colori, e delle tecniche di tintura e smacchiatura , e dal rispetto delle 5 regole d’oro
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Scelte personali responsabili e consapevoli
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Conoscenza profonda del prodotto
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Rispetto dell’ambiente e delle tradizioni
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Innovatività nello sguardo e nella visione globale
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Anima profonda e ricettiva
Lo stilista tradizionale disegna collezioni legate ai tempi tradizionali della moda, le stagioni con i loro protocolli serrati e tempistiche ormai fuori sintonia con la realtà. Le collezioni sfilano velocemente, senza la possibilità di sedimentare negli animi e di essere adeguatamente raccontate e percepite. Solo pochi grandissimi stilisti hanno iniziato a modificare i loro tempi e le loro modalità.
In una logica completamente distorta rispetto ai bisogni del consumatore, le collezioni estive arrivano in negozio in pieno inverno e le collezioni invernali saranno in vetrina accanto alle prime scottature del sole!


Lo stilista per rispettare queste tempistiche deve disegnale le collezioni invernali in questo momento di totale confusione, di mancanza di materie prime, di innalzamento eccessivo dei costi di trasporto e incidenza stratosferica delle materie sintetiche e artificiali. Lo stilista deve disegnare tenendo conto delle certificazioni più che dei filati e del loro aspetto e della loro estetica. Può davvero essere sostenibile un prodotto disegnato in queste condizioni? Alla sostenibilità del filato, bisogna affiancare la sostenibilità dello stilista, che deve interpretare il bisogno del nostro essere interiore ben lontano dall’essere perfetto.
Lo stilista sostenibile per prima casa deve disegnare prodotti contemporanei che traducono l’evoluzione delle tendenze spontanee della popolazione mondiale. Per questo motivo lo stilista deve essere prima di tutto glocal, perché percepisce ed interpreta, i bisogni dell’ambiente che lo circonda, e provvede ad interpretarli trasformando i bisogni in soddisfazione degli stessi.
E poiché il mondo glocal è ormai una fusione di elementi provenienti da ogni parte del globo; lo stilista interpreta in modo glocal tendenze internazionali e ne crea di nuove. Nuovi prodotti per le nuove tribù che popolano i nostri territori. Solo attraverso questa visione glocal del global si porterà lo stile ad une evoluzione sana e innovativa. Accanto a temi vintage devono farsi strada temi contemporanei che possano invecchiare con noi e divenire il vintage del prossimo millennio.
Solo questo tipo di stilista sarà sostenibile. La sostenibilità non passa solo dal prodotto e dalle scelte del filato ma dalla capacità del filato di adattarsi ai nostri bisogni. Abbiamo bisogno di un mondo più rispettoso e quindi di filati certificati e sostenibili ma abbiamo bisogno anche del rispetto delle tradizioni centenarie e delle piccole attività locali che permettono un mercato più aperto e più spontaneo e creativo. Non possiamo lasciar scomparire fibre nobilissime che non possono per loro natura essere certificate. Non si può scarificare il puro cachemire per un cachemire riciclato che sarebbe più opportuno chiamare lana di capra riciclata. Non possiamo vedere sparire interi allevamenti di mohair ed abbandonare i lavori tradizionali di pastori nomadi delle capre per favorire solo allevamenti certificati alle stringenti normative globali.
Tutto questo deve passare dal disegno e dalle scelte dello stilista sostenibile e dalla sua anima, perché lo stilista è interprete dell’anima, ma l’anima non è solo quell’anima pura, pulita e alle volte riciclata che appare nella pubblicità. Lo stilista interpreta anche l’anima nera, fumosa e vischiosa che è così intensa nell’uomo contemporaneo e che lo caratterizza fin dal più oscuro medioevo.
Non può essere tutto purezza, ci vuole ombra per apprezzare la luce, ci vuole anche della sana poliammide, dell’ostentato poliestere e della osteggiata angora ed il chiaccherato mohair.
L’unica cosa che non deve mancare è il rispetto, la scelta consapevole e la modica quantità. Il vero problema è la sovra produzione mondiale ed il business per il business, per il resto lasciamo libero lo stile che di per sé è sostenibile in quanto è studiato e consapevole.
“La sostenibilità non deve diventare un’etichetta”
Concept by Alessandra Italian Style Lab