“Penso a un eroe come a qualcuno che comprende il grado di responsabilità che deriva dalla sua libertà”.
-Bob Dylan
Pochi di noi hanno visto la guerra eppure ci sentiamo tutti dei veterani. Questa sensazione di perdita di certezze, abitudini e libertà ci riporta indietro nel tempo, agli anni ’50. Sono gli anni in cui inizia il bisogno di pace, cambiamento e rivoluzione floreale.
Come archeologi moderni riapriamo i bauli del passato, ritroviamo quadri, maglioni, oggetti e tessuti antichi.
La maglieria aveva un peso e un corpo diversi rispetto ai giorni nostri. I grandi maglioni di lana e lana infeltrita erano spessi e ruvidi. Il cotone a coste era totalmente bitorzoluto e fa capolino tra i reperti, le riviste e i ritagli di giornale.
La rigida regolarità delle divise rispondeva all’esigenza di colori forti e contrasti astratti.
I primi marchi nacquero nei garage con tinture a mano che erano conosciute negli anni ’50 come “legato-e-tinto” e poi divennero la famosissima tecnica anni ’60: “tie-dye”.
Dopo anni di conflitti globali, l’esigenza primaria era quella di riscoprire e confrontarsi attraverso l’abbigliamento. Come di consueto, lo stile ha interpretato esigenze primarie di sicurezza e protezione attraverso lo sviluppo di tecniche artigianali di tintura dei tessuti, con colori accesi e forme dal design psichedelico.
Colori primari luminosi, motivi a spirale e mandala e strisce multicolori. I modelli di abbigliamento erano realizzati con un patchwork di materiali, riciclo creativo di capi resistenti e monocromatici destinati alla guerra.
Nasce la cultura del riciclo, non dettata dalla sostenibilità ma dalla necessità e dalla reale mancanza di materiali e mezzi economici.
I jeans si sono affermati come simbolo di cambiamento e desiderio di uguaglianza tra classi sociali e differenze di genere. Erano il simbolo dell’uguaglianza tra uomini e donne, poiché le donne dovevano sostituire gli operai che andavano in guerra nelle società di ingegneria che producevano armi e automobili. I blue jeans si inseriscono in questo contesto di colori che rispecchia sostanzialmente i temi degli anni ’50.
Ed ecco che riemerge la capacità delle più moderne filature di interpretare il tempo della collezione 2021/2022 con proposte di filati stampati, tinti o pronti per essere tinti.
Il filato greggio va interpretato con i colori di stagione ma con il recupero delle tecniche di tintura anni ’50 e ’60. Filati già stampati nei colori Peace e in quelli arcobaleno. I colori primari sono mostrati negli effetti di intarsio e nelle composizioni assemblate a mano.
La maglieria tradizionale indossa stemmi, ricami, spille e bottoni, uncinetti multicolori e corneylles astratti.
Giacche in maglia con jacquard floreali, piccole e ripetitive lungo lo sprone. I colori della divisa, come il kaki e il blue jeans, fanno da sfondo ai colori accesi e pieni di decolorazioni come l’arancio, il vermiglio e il senape.
I filati sono spessi, non c’è leggerezza ma la consistenza dei caldi hugh che si riafferma nei merinos e nei filati di cotone organico. I filati sbiancati possono ridare matericità alla maglia. La praticità di un prodotto di qualità è destinata a durare e farci compagnia nei mesi successivi e ad essere ritrovata nei bauli qualche decennio dopo.
Un inno al cotone e una riscoperta della tela. Lana cotone per affrontare la primavera e cotone cashmere per affrontare l’estate.
Words by Italian Style Lab