La pandemia ha messo tutti alla prova e il settore fashion ne è stato colpito con particolare veemenza.
Le analisi della società di consulenza McKinsey parlano di un tracollo dei profitti pari al 93% nel 2020, dopo il +4% del 2019. Se proviamo a cambiare prospettiva, però, ci accorgiamo di come questo shock improvviso abbia agito da acceleratore sulla sostenibilità, facendone il primo driver di un nuovo Rinascimento della filiera.
A dimostrarlo, fra altri indicatori, ci sono i dati elaborati da Process Factory sulle aziende che adottano 4sustainability, il marchio che attesta le performance di sostenibilità della filiera del fashion & luxury.
Quello di 4sustainability è un meccanismo molto diverso dai classici sistemi di certificazione, perché il rilascio e il mantenimento del marchio dipendono dall’implementazione di progetti concreti, i cui esiti vanno monitorati nel tempo attraverso la verifica di KPI qualitativi e quantitativi. Per la prima volta, oggi, è oggi possibile avere una visione d’insieme di questi risultati, grazie all’analisi condotta su un campione rappresentativo di 100 aziende tra quelle che hanno aderito alla roadmap.


Sostenibilità: come performa la filiera moda italiana?
Le aziende prese in esame dalla ricerca sono per il 71% aziende di manifattura e vendita di prodotti tessili e pelle, per il 21% lavorazioni conto terzi, mentre le altre si occupano di manifattura e vendita di capi e prodotti finiti, oppure di accessori e materiali ausiliari. A livello di fatturato, il 46% del campione si colloca entro i 9 milioni di euro annui, il 40% entro i 49 milioni, il 13% tra i 50 e 249 milioni. Appena l’1% supera i 250 milioni di euro all’anno.
Tra le 6 dimensioni della sostenibilità rilevanti per il comparto, la tracciabilità ha registrato le performance migliori, con oltre il 65% del campione che ha raggiunto punteggi medio-alti o alti. Sulla riduzione dell’impatto ambientale, il 56% delle aziende si deve accontentare di un rating più basso, dovendo sviluppare sistemi di calcolo che misurino i risultati ottenuti. Il 90% delle aziende si mantiene su livelli medi (suddivisi tra medio-basso o medio-alto) per quanto riguarda la preferenza per materie prime sostenibili, l’economia circolare e gli aspetti sociali. Merita una nota a parte la buona chimica: il 76% delle aziende del campione ha già avviato un percorso per l’eliminazione delle sostanze chimiche tossiche e nocive in produzione, raggiungendo per il 79% il livello advanced. Un tema, questo, che ha riscosso negli ultimi cinque anni una fortissima attenzione sul mercato.
Raggiungere l’eccellenza è una questione di cultura
“È significativo che, su tutte e sei le dimensioni prese in esame dalla ricerca, le performance migliori siano associabili alla presenza in azienda di una figura formalmente investita del ruolo di Sustainability Manager”, sottolinea Francesca Rulli, CEO di Process Factory e ideatrice di 4sustainability. “Questo ci dimostra che la sostenibilità è una questione di cultura aziendale. Se c’è un approccio trasversale e olistico che vede la sostenibilità come un obiettivo condiviso a cui tutti contribuiscono al meglio delle loro potenzialità, con adeguato commitment e risorse dedicate, allora le performance possono tendere con il tempo all’eccellenza”.
A proposito di cultura della sostenibilità, questi e altri dati saranno al centro del nono Evento Annuale 4sustainability, intitolato “Numeri primi: il Rinascimento sostenibile della filiera moda” e strutturato in due atti: il primo si terrà in digitale giovedì 2 dicembre dalle 15.00 alle 18.00; seguirà poi un secondo appuntamento in presenza a Firenze, il prossimo giugno, in occasione di Pitti.
Un ritratto in chiaroscuro
Al di là delle analisi di dettaglio, il ritratto che emerge dalla ricerca presenta non poche luci. Vale la pena sottolinearlo per equilibrare il racconto che i media fanno ciclicamente della filiera produttiva del fashion e che è un racconto spesso solo di denuncia, doverosa e sempre benvenuta ma non rappresentativa della realtà nella sua interezza.
Lo sfruttamento delle persone impiegate nel comparto è un fenomeno purtroppo non estraneo anche al nostro Paese, dove pure le normative sono avanzate soprattutto in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. È altrettanto vero, però, che esiste una parte della filiera italiana seriamente impegnata nella trasformazione dei modelli di business verso la sostenibilità. E questo non solo sul piano sociale, ma su tutte le dimensioni-chiave della sostenibilità.
Ci sono tantissime aziende, cioè, che in tempi non sospetti hanno scelto di supportare le strategie di produzione sostenibile di importanti brand del fashion & luxury ritenendo possibile l’integrazione fra etica e profitto. Molte lo hanno fatto attraverso il sistema 4sustainability: un percorso coraggioso, per i tempi in cui è stato avviato, e oneroso per la natura dei progetti da portare avanti a tutti i livelli di prodotto e di processo.


Il mercato premia i percorsi strutturati
Non c’è altro modo per fare davvero la sostenibilità, non è sufficiente una capsule collection o un’iniziativa di marketing per dichiararsi sostenibili. Quanto alle certificazioni di settore, anche quelle estranee alle dinamiche truffaldine portate a galla dai media sono la rappresentazione di un impegno limitato perché applicabile spesso solo a certi prodotti o attributi di prodotto.
Sono sempre di più le realtà della filiera moda italiana che hanno scelto un approccio strutturato alla sostenibilità, impegnandosi a fare e a farsi misurare perché anche il mercato ne abbia evidenza. E a queste aziende va resa giustizia: per dovere di cronaca, ma anche perché il merito è la più potente dimostrazione che un’altra strada è possibile, che la sostenibilità non è un’utopia ma un traguardo accessibile. Prendendo esempio, magari, da chi è partito prima e ne sta oggi raccogliendo i frutti.